Improvvisare, costruire, mescolare, rischiare. Sono queste le caratteristiche della sperimentazione artistica di Ruann Coleman, sudafricano nato e cresciuto a Johannesburg, laureato in Belle Arti all’Università di Stellenbosh, nella provincia di Cape Town, dove ha conseguito anche un Master. Coleman, 27 anni, fa parte della cosiddetta generazione post-politica, del paese di Nelson Mandela, quella dei giovani nati dopo la fine dell’apartheid, che si esprime attraverso una certa irriverenza e un raffinato senso dell’umorismo. La sua natura è quella dello scultore, ma il suo lavoro si compone di objet trouvé alla maniera di Duchamp – letteralmente l’artista esplora il territorio e raccoglie pezzi di quotidianità da trasformare – che poi mette insieme attraverso una complessa ricerca di equilibri, forme, pesi e misure. Il suo approccio alla scultura si richiama all’idea di Paul Klee di seguire una linea e camminare fin dove questa ti porta, rinunciando in questo modo alla grandiosità solenne della tradizione della scultura classica e contemporanea, per esprimersi in installazioni minimaliste. Punti di riferimento della sua esplorazione sono Brancusi, Caro e Kapoor. Coleman realizza oggetti utilizzando parti di altri oggetti, che manipola, giustappone, incastra, donando loro così una nuova e diversa vita, per poi collocarli nello spazio creando una sorta di relazione e dipendenza con la misura del suo stesso corpo che condivide il medesimo spazio. L’artista dunque agisce all’interno di una scena in cui lo spazio è misura, il corpo è forma, l’oggetto pure e tutto si rapporta attraverso distanze, equilibri e coesistenze. “Voglio che l’ambiente in cui le mie sculture sono esposte diventi parte delle stesse sculture”, spiega Coleman che a Roma ha svolto un periodo di residenza di un mese, grazie a ARP-Art Residency Project del Centro Luigi Di Sarro, dove il 28 maggio 2015 inaugurerà la mostra FOUND: ROME. Nella Città Eterna, che Coleman ha esplorato in lungo e in largo, prevalentemente a piedi, come dimostra il diario di viaggio che ha tenuto su Instagram, l’artista ha colto una quantità di segni particolari con i quali ha, di volta in volta, interagito. Roma, la città santa, con le sue oltre 250 chiese storiche, ha ispirato un allestimento di 12 opere, come fossero i dodici apostoli attorno al loro creatore: il numero 13. Oggetti scartati e gettati via sono diventati installazioni e sculture, come il cruciFIX o i due Saint, fino alla suggestiva site specific Dome che ricrea l’atmosfera spirituale con l’estetica minimalista che Coleman predilige. Infine a segnare la presenza concreta dell’artista sulla scena l’umoristica MADE IN ITALY, dove anche il corpo umano si mette direttamente in gioco.
Il progetto di residenza artistica tra Italia e Sudafrica, è un’idea del Centro Luigi Di Sarro per favorire lo scambio e la conoscenza fra i due paesi. Partito nel 2009, ha visto tra i partner la Erdmann Contemporary e la Smac Art Gallery. Ha mostrato a Roma le opere di Karlien De Villiers, Nomusa Makubu, Collen Mashangani, Norman O’Flyn, Lindeka Qampi, Manfred Zylla, Jake Aikman. A Cape Town ha promosso le mostre di Erik Chevalier, Marilena Vita, Paolo Bini, Paolo Baraldi. ARP-Art Residency Project è realizzato, anche quest’anno, in collaborazione con la SMAC Art Gallery di Cape Town e ha il patrocinio dell’Ambasciata del Sudafrica in Italia e del Consolato Italiano a Cape Town.