Antologia critica

[…] Ma per definitivo, questo lavoro, dobbiamo accettarlo, comunque ora, ricercandovi i nessi, inevitabilmente i meno agevoli, entro la disparità, di tempo e di modi, di una ricerca inquieta e in continua apertura verso nuove curiosità, verso nuove prove ed esperienze.
Lungo oltre un decennio quel lavoro è infatti segnato da una molteplicità di passaggi e da una molteplicità di aperture e di direzioni […] stilemi, gesti, segni, immagini, materie e perfino tecniche. […] Quasi, allora, un diario appunto di inevitabili diversità di esperienze, giacché esattamente un diario di deliberate esperienze diverse. […] La ricerca figurale di Di Sarro si dibatte continuamente, in modi diversi secondo i tempi e le situazioni, fra un ascolto sperimentale, che è quasi uno scientifico attendere che nel segno e nella materia provocati s’accenda l’indicazione di una possibile immagine […] e altrimenti fra la costruzione di un’ipotesi formale […]. E inquietudine costante, fra sogno, confessione, certezza e precarietà, non solo trascorrenti quali attrazioni diverse d’un flusso esistenziale, ma quali contraddizioni compresenti, ove riconoscere la dimensione più vera e aspra dell’esistere quotidiano. […] Enrico Crispolti (in E. Crispolti, Luigi Di Sarro: una ricerca interrotta, 1980.)
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[…] L’opera di Luigi Di Sarro ha qualcosa di inafferrabile; […] resiste a tutti i tentativi di definizioni sistematiche e pacificatrici. […] Cogliere questo aspetto, vuol dire assumere il giusto punto di vista per comprendere meglio la [sua] vicenda tragica e struggente di […] medico, docente, artista, e […] accanito teorico dell’esperienza estetica. […] questo suo essere per l’esperienza più che per il regno del finito, del concluso, questa sua capacità investigativa, soprattutto, continuamente esercitata nel campo del linguaggio […]. L’appartenenza a una determinata cultura storico-artistica serve, dunque, a Di Sarro come punto di partenza di una operazione di prelievo linguistico, non al livello di unità molecolari complesse, ma sul piano di elementi primari, a partire dai quali è poi possibile realizzare una nuova grammatica e una nuova sintassi. Qui la disposizione nativa dell’artista ha buon gioco, può manifestarsi pienamente lasciando ampi margini di azione a una esigenza investigativa che spinge a impostare il lavoro artistico sul piano di una nuova costruzione di segni. […] Da questo incontro la figura e l’opera di Luigi Di Sarro traggono il loro significato più pieno, il senso di una esperienza profondamente inserita in un contesto culturale determinato e in pari tempo capace di segnare, rispetto a questo, momenti indubbiamente rilevanti di novità e di scarto. Sono i momenti di più risentita intensità creativa, quelli in cui l’artista ha assorbito e in qualche modo dimenticato tutto quello che sa, in cui la mano scorre libera sulla superficie, portandosi appresso, ma senza più saperlo, tutto ciò che è stato appreso. […] Filiberto Menna (in F. Menna e T. Sicoli, Luigi Di Sarro. L’opera come frammento, 1987.)

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[…] Anche la fotografia, la sua pratica, il suo uso o il semplice riporto diventano pertanto – come per il Di Sarro – momento di riflessione conoscitiva, di analisi e di ricerca che, correndo parallelamente alla pratica pittorica, ad essa si embrica nell’esaltazione, nella sfida e nella deflagrazione di un’esperienza artistica totale. E’ questo il senso, il senso storico, non solo degli amori fotografici, ma anche di tutto lo sperimentalismo espressivo del Di Sarro che egli esprime ed esperisce in stretta connessione generazionale con altri artisti suoi coetanei o quasi. Com’è stato osservato, nell’opera di Di Sarro niente infatti è dato per certo, come definitivo o statisticamente concluso […]. Non a caso quindi il movimento e la metamorfosi […] attirano in modo particolare e più costante l’attenzione del Di Sarro fotografo che sembra quasi esibirli come simbolo del proprio sperimentalismo attivo e senza posa , che guarda alla storia per proiettarsi in avanti. […] Marina Miraglia (in M. Miraglia, G. Cannilla, S. Santacaterina, Luigi Di Sarro e la fotografia, 1989.)

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[…] Il percorso artistico dell’artista ci appare adesso nella forma singolare di un vero e proprio pellegrinaggio del segno. E’questo, infatti, l’elemento grammaticale primario che preme al pittore , il dato di connessione tra corpo, linguaggio, e superficie. Di Sarro lo affronta non a partire da certezze e presupposti dati ma, con un certo spirito fenomenologico mettendolo alla prova . Cambiando ogni volta le condizioni del discorso pittorico, cambia la natura del segno, si tradisce lo stile ma si mantiene vivo lo spirito di ricerca dell’arte. […] Entro questo scacco della conoscenza si muove la ricerca dell’arte, se questa, come Di Sarro e gli artisti degli anni Settanta ci fanno intendere, ha la missione di ‘ridisegnare’ il mondo, di ricondurre il tempo entro i cardini da cui è uscito, ebbene Di Sarro è ben consapevole che anche questi cardini sono spezzati, che non è più possibile parlare in termini di unità dell’Io e del mondo. […] Il percorso nella profondità del linguaggio assume così l’aspetto di uno sprofondamento abissale, della vertigine che ci procura un universo, quello dell’arte, entro cui non abbiamo altri mezzi per orientarci che la nostra caduca esperienza. […] Lorenzo Mango (in L. Mango, Pellegrinaggio nel segno. L’avventura pittorica di Luigi Di Sarro, 1995.)

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[…] Non ci sono dubbi: se Luigi Di Sarro, sperimentatore per costituzione, non ci avesse lasciato, a causa di una delle tragedie degli anni di piombo, nel 1979, a 37 anni, avrebbe stabilito una diretta e ben progettata osmosi tra arti visive e cinematografia. Intanto il movimento realizzato nella fotografia, pur avendo matrice nell’arte e pur esprimendosi al livello della concentrazione sincronica sul fotogramma, tende ad articolarsi quale momento diacronico di un racconto potenziale (sequenza filmica).Di Sarro, con la sua fotografia dinamica, ci appare come un alfiere – anche se non sempre adeguatamente consapevole – della filmografia scenica più avanzata. Infatti, pur esprimendo egli la tendenza dell’epoca a ideologizzare ogni esperienza espressiva, pur rivelandosi in pieno un militante della visualità eticamente impegnata, è andato puntualmente oltre la ricerca della bella immagine sorretta da esasperati contenutismi (Pier Paolo Pasolini), o del fotogramma lirico dal surrealismo talvolta facile (e mi scusino i fans di Fellini se mi riferisco all’osannatissimo maestro). […] Carattere ricorrente della “fotografia filmica” di Di Sarro è lo spiazzamento. I rapporti spaziali sfuggono continuamente al principio del “qui e ora” peraltro sulla base di una discinesia tra spazio e tempo e di una tentazione ubiquitaria di taluni elementi in campo (attraverso riflessi, rispecchiamenti, duplicazioni, iterazioni). Sono immagini eroiche sottese dal velleitarismo ideologico tipico degli anni ’70 che avviluppava ogni spontanea energia extraoggettuale che spesso finiva col qualificarsi come performativa. Fotografie a vocazione filmica (Di Sarro aveva chiaramente manifestato il suo intendimento di fare cinema); fotografie che, per il loro carattere sperimentale, sono ben capaci, ancora adesso, di sollecitare la mente e la mano di operatori visuali e cineasti. […] Carmelo Strano (in C. Strano e G. Di Bert, Luigi Di Sarro. Fotografia sperimentale (tensioni filmografiche lungo gli anni ’70), 1997.)

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[…] L’autore, che si è specchiato in più tecniche e ambiti linguistici, è stato fino ad oggi interpretato nel profilo strutturale proprio degli anni settanta: poche e simboliche forme chiave, idealisticamente astratte, per definirne la presenza in un’attività legata ad un tempo stabile. Personalmente ho trovato interessante poter spaziare nel tempo, compiere una ricognizione nei disegni e nell’opera grafica, mettendo insieme una raccolta che proponga lo sviluppo dell’approccio alle realtà dell’uomo e della natura e alla relazione tra questa e quello. […] inevitabile, avvicinando il lavoro di Di Sarro non avvertire che in questo attento perlustratore del reale e veloce registratore delle sue entità fisiche, alberga un’attesa, irrealizzabile se non attraverso la ricerca, di altrove. Quel misticismo che ha permeato il pensiero dei filosofi laici del nostro secolo, Benjamim, Adorno, Horckeimer, e di cui la terra calabra ha avuto un remoto e illuminato esponente in Gioacchino Da Fiore, permea anche il pensiero di Luigi Di Sarro e si situa proprio accanto alle ansie di rinnovamento dell’epoca, cercando nel tempo altre sponde al di fuori dell’Europa, nelle antiche culture orientali e nelle loro pratiche espressive ancora intatte. “Possiamo”, si chiederà verso la fine degli anni settanta, “determinare i limiti del campo di osservazione e valutare i mutamenti che ivi avvengono, se noi stessi siamo già indeterminati ed in movimento?” […] Di Sarro pensa l’uomo come parte indissociabile dell’universo. […] Non è possibile pensare oggi la natura senza pensare contemporaneamente all’uomo che la governa offrendo ad essa una forma:ora le modalità di questa conduzione possono essere varie e tuttavia determinate o meno da un’etica di base. Luigi Di Sarro sentiva che un’ estetica – vale a dire un sistema di segni che indicano il bello – non è pensabile a prescindere da un’etica, da un sistema morale applicato alla vita; e così come non si riconosceva nei tratti canonizzati del bello, doveva nutrire delle perplessità assai serie sull’entità etica del mondo che lo circondava. Perciò accarezzava un progetto di trasformazione, destinato ad includere molteplici elementi. […] A Di Sarro hanno soprattutto interessato i nessi tra le cose, le scale di diversa misura, gli intenti e le possibilità insite in ogni parte del cosmo. Sempre lui si dichiarava sensibile alle teorie del caos come suprema spinta all’ordine delle cose e alla possibilità di rinnovare, di ritrovare un assetto di specie. La natura lo incantava per la sua semplicità nelle regole che la costituiscono, così nelle specie vegetali che in quelle animali: apprezzava il principio costitutivo, l’ordine della natura. […] Di Sarro è stato certo non soltanto un attento indagatore delle componenti fisico/psichiche della natura, ma ha anche elaborato in altri campi il proprio pensiero e si è misurato in dimensioni artistiche astratte, simboliche e che indicano una rarefazione della struttura portante. Ma dal dominio della natura ha attinto una risorsa di indagine e una capacità di osservazione e di registrazione che fungono da supporto sensibile ad ogni altra dimensione operativa del pensiero. […] Federica Di Castro (in F. Di Castro, Fisionomie dell’universo. Luigi Di Sarro/Disegno e teoria, 1998; in F. Di Castro, L’idea espansa. Un percorso critico nell’arte del Novecento, Istituto Nazionale per la Grafica, 2012.)
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[…] ma che cosa è la sperimentazione se non il risultato avviato da un’idea ? Lo sono anche le fotodinamiche imprecise dei Bragaglia come le strobofotografie, le luminografie, le cronofotografie, le sequenze “corporali” di Luigi Di Sarro. Queste immagini sono innanzitutto risultati, non “prove”, come si vorrebbero le “sperimentazioni”. La sperimentazione è infatti implicita nel fare e non si sa dove conduce e quando si completerà, se terminerà; e guai, comunque, se si dovesse concludere, perché ogni sua fase è già un risultato. […] Luigi Di Sarro – fotografo, ha realizzato il suo rito visivo con una straordinaria felicità espressiva, persino lucida e densa però di ironia, drammatica anche, inquietante, come nella serie della “bambola rotta”, del nudo mascherato in una rete, del gatto inseguito nei gesti, nella teatralità degli autoritratti[…], il tragico abbraccio dei manichini, le fantasmagoriche luci grafie […]. Italo Zannier (in I. Zannier, Luigi Di Sarro. Alla scoperta della fotografia, 2001.)

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[…] Uno dei temi centrali della cultura di quegli anni e un aspetto del lavoro di Di Sarro, che si trova tra le pieghe del suo febbrile sperimentare, era l’attenzione verso la morfologia naturale e artificiale, i metodi della psicologia sperimentale, i termini di una tecnologia alternativa che partiva dall’unione tra morfologia biologica, atomo, campi elettromagnetici, che concorreva a una visione del mondo dove confluiscono il nucleo delle filosofie orientali dalle quali l’artista era attratto e una delle più stringenti rivelazioni della fisica moderna che oltremodo lo intrigava: la fondamentale unicità dell’universo, la relazione tra cose ed eventi, perché nulla è isolato, tutto diviene reciprocamente e come parte del tutto. La via dell’arte e della scienza era sostanzialmente per lui una via del cuore, una scelta etica e di vita rivolta alla conoscenza spirituale e alla realizzazione di sé, e un atto apotropaico verso l’umanità. “ La sociologia e l’antropologia e lo sviluppo tecnologico delle comunicazioni e delle informazioni hanno maturato una coscienza collettiva tale che pone problemi qualitativi sulle modalità di una feconda coesistenza… Forse saranno i computers a restituire con la loro poderosa memoria e velocità di associazione le possibilità di una programmazione intelligente del futuro”. Una testimonianza estetica che, ponendo domande problematiche più che dare risposte rassicuranti, anticipa alcune posizioni di avanguardia contemporanee, supera la concettualità asettica e l’ottica neo-positivista tecnocratica e specialistica, quella che ha in un certo modo decretato il declino del ruolo dell’intellettuale nella società, che trova riscontro oggi in una linea di pensiero che va verso la contaminazione, la ricerca della relazione tra visioni del mondo diverse, culture differenti, tra campi del sapere e della conoscenza ritenuti fino a ieri incompatibili, che considerando le differenze sviluppi valori umani. Di Sarro auspicava l’avvento di un umanesimo moderno sull’esempio leonardesco, esaltato oggi nelle affermazioni degli scienziati del Massachussets Institute of Tecnology il mitico tempio americano delle tecnologie, a cui Di Sarro già guardava con interesse, insieme all’essenza di un postmoderno filtrato e depurato, che esce dalla babele caotica dei linguaggi in vista di una auspicabile coesistenza di verità, nell’ambito di una realtà in divenire. […] Patrizia Ferri (in P. Ferri, “Politica di pace”. Luigi Di Sarro – New York 1971, 2002.)

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[…] Quel che affascina nel lavoro di Di Sarro è la grande libertà con cui ha saputo porsi al di fuori di una visione convenzionale dell’arte, rifiutando stereotipi e soprattutto irreggimentazioni in poetiche predefinite. […] Luigi Di Sarro appartiene a quella generazione di artisti utopici che hanno attraversato con varia fortuna la metà degli anni Sessanta e tutti gli anni Settanta, convinti che l’arte dovesse farsi carico di un radicale progetto di cambiamento dei propri linguaggi e di tutto il mondo.[…] Tutta la controcultura di quegli anni alimenta questa utopia […] Così l’Arte-Politica si intreccia con la Poesia-Spettacolo, i movimenti giovanili intercettano il pensiero antagonista, gli indiani metropolitani ammiccano alle femministe. In mezzo ai sogni di una rivoluzione affiorano anche interessi per le discipline alternative: la macrobiotica, l’astrologia, le filosofie orientali, ma anche la medicina cinese come l’agopuntura, fanno parte di questo contropensiero, che investe gli stessi stili di vita. Di Sarro è permeato di questa temperie culturale. […] La conoscenza e la scienza sono per lui banchi di prova, per saggiare modelli teorici e per farne verifiche sperimentali. Fin dagli anni Sessanta realizza alcune opere in cui predomina l’elemento segnico, al limite del minimalismo. Nel maggio del ‘71 alla galleria romana Ferro di Cavallo espone per la prima volta alcune sculture in ferro filiformi, minimali, rigorosissime, assolute. Anche i materiali poveri l’affascinano: la rete, il metallo, il fil di ferro, la corda, il polistirolo. La superficie nella sua bidimensionalità è messa in discussione, resa plastica con l’aggiunta di materiali extrapittorici, ready made, residui di lavorazioni seriali; oppure è violata nella sua integrità, tagliata e slabbrata verso l’esterno, ad aprire varchi non solo nella tela, ma addirittura nella carta delle opere calcografiche. […] Le immagini sono una forma del pensiero e Di Sarro ne sperimenta la portata conoscitiva, segmentandone i significati, organizzandone il senso, trasformando le idee in fatti e cose percettibili. […] Tonino Sicoli (in A. Capasso e T. Sicoli, Luigi Di Sarro. L’anatomia dell’arte, 2005.)

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[…] L’italiano Luigi Di Sarro (1941-1979) si rivela un globe-trotter della sperimentazione. Infatti non si fissa su una linea di indagine, ma dà ampio spazio al proprio nomadismo caratteriale e concettuale. Acquisito un dato (sarebbe meglio dire: fissata un’idea, certamente sperimentale), si passa ad altro. Dipinti, disegni (ma è nella fotografia che si trovano i risultati più vivi e i segni dei suoi contributi sperimentali al periodo) sembrano quasi strumenti di laboratorio, un “laboratorio” superiore a cui puntare, il laboratorio della visione globale e umanisticamente unificante (46). E dunque, ogni sua opera oggettuale, pur se risolta formalmente. È una sorta di appunto di viaggio. Verso dove? Verso la verità: dell’arte e della vita. Sperimentare (vita e sperimentazione in lui coincidono) ha innanzitutto il valore di costruire sperimentalmente. Sperimentare per costruire in modo diverso, nuovo. Date queste premesse, Di Sarro non ha motivo di tagliarsi le orecchie: Anzi va detto che semmai egli (in questo senso anticipando gli aspetti positivo-costruttivi degli anni ottanta) è pronto a curare le ferite: del corpo e dell’anima.(47). E’ particolarmente in questa idea e in questa pratica della sperimentazione che Luigi Di Sarro è stato un pioniere. […] Carmelo Strano (in C. Strano, Gli anni settanta. Gli orientamenti dell’arte occidentale tra società, pensiero, tecnologia, 2005).

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[…] L’arco di lavoro dell’artista è breve, di una intensità stupefacente: caratterizzato, soprattutto, da una alterità rispetto ai corsi ordinari – peraltro a loro volta singolarmente vividi e tumultuosi, in quel tempo – del dibattito artistico, che lo rende autore difficilmente collocabile al pari di altri, da un […]  Claudio Cintoli a un Fernando Tonello, cui il tempo non è stato concesso per assumere fisionomia espressiva definita e peso storico ineludibile. […] Non preoccupato di darsi una cifra espressiva riconoscibile, ben convinto che non sia più, ormmai, questione di stike o di modo, egli da subito interpreta il proprio ruolo come quello dello sperimentatore puro, in debito solo con l’intensità dell’opera e della sua acuminatezza intellettuale, a costo di scontare, oltre al sospetto che il professionalismo dell’avanguardia riservava a un autore come lui atipico per formazione, anche il non meno tenace sospetto riservato dal sistema artistico agli spiriti brillanti ma non proni alle rules and regulations del nuovo, non meno inflessibili, ora sappiamo bene, delle vecchie accademiche. Di ciò Di Sarro fa mostra di non curarsi più di tanto, incarnando nel panorama romano degli anni Sessanta e Settanta il ruolo dello sperimentatore il cui work in progress è assunto non retorico, ma pratica di vita. […] Flaminio Gualdoni ( F. Gualdoni, per Luigi Di Sarro in Luigi Di Sarro, Edizioni Peccolo, 2008.)

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[…] Le tracce del lavoro di Di Sarro raccontano di una flessibilità creatrice, di una capacità di rimbalzare da una soluzione all’altra coagulandosi in opere sfuggenti alla consueta impostazione ordinatrice alla quale si è abituati. Tensione alla libertà del fare che muove da una brama di conoscenza che non è destinata esclusivamente all’arte, ma tramite essa giunge a formulare domande attorno alla realtà. L’attività di Di Sarro è un atto di ricerca, uno strumento e un metodo per approfondire il suo essere nel mondo, potenziata dalla capacità di rompere confini disciplinari, attuandone invece un’interazione. L’interesse per la musica, la scienza, la tecnologia ne sono una prova e facendo parte della sua matrice culturale ogni forma espressiva viene plasmata secondo la propria naturale necessità di capire e la sua connaturata volontà di indagare, evitando di ripiegare su un’unica direzione di pensiero. […] La fluida ricerca di Di Sarro è anche il coraggio di non accettare passivamente una certa e consolidata idea dell’arte […] Angelo Capasso (in A. Capasso, L’orlo del vuoto. Vita, morte e arte di Luigi Di Sarro, 2008.)

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