Luciano Gabbrielli: la sutura del presente,17 Novembre – 3 dicembre 2011
A cura di Emanuele Rinaldo Meschini
La poetica di Luciano Gabbrielli (Viareggio 1924), rappresenta un’operazione a cuore aperto sull’arte. Gli strumenti chirurgici vengono liberati dalla loro componente di dolore per trasformarsi in strumenti di una passione estetica combattuta a volto scoperto. L’arte di Gabbrielli è infatti molto diretta. A prima vista è una collocazione di oggetti su uno sfondo pittorico, molte volte monocromo. Lo sfondo però si trasforma sotto le sue mani da semplice quinta scenica a palcoscenico illuminato e sembra di assistere alle lezioni di anatomia di Andrea Vesalio. I ferri, gli aghi, i fili, si scoprono vivi, pensanti e amanti, non sono più oggetti, bensì acquistano una vita volta alla conquista dell’altro, alla ricerca del sé specchiante. Gli strumenti di Gabbrielli si agitano in una tensione che nella vita non gli apparterrebbe, ma che ora conquistano in virtù della ricerca. Proprio la ricerca rappresenta la parola chiave per interpretare l’opera di Gabbrielli. Il contesto artistico nel quale iniziò a muoversi era quello degli anni ’70, dell’Arte Povera, dell’happening e della militanza. Nella sua opera però si respira un clima disteso, liberato e pacato. Gli strumenti sono “poveri”, ma la poetica che sottende all’impresa è diversa. In Gabbrielli ci sono, infatti, echi di spazialismo e new dadaismo americano ed egli sembra quasi voler esorcizzare il clima teso di quegli anni con un’operazione, più che mai medica, sul senso e la finalità della ricerca artistica. I sentimenti vengono sperimentati dagli oggetti e la loro espressione, altrimenti scomposta nel mondo degli uomini, trova un suo equilibro.Lo “scopritore” di Gabbrielli fu Emilio Villa, uno dei critici più importanti nella storia dell’arte italiana e non solo, in quanto capì prima di tutti l’opera degli espressionisti astratti americani. Villa, nel 1975, definì Gabbrielli “medico-sacerdote”.Proprio questa definizione rispecchia l’operare di Gabbrielli, sciamano di un rito medico pittorico nel quale il paziente da salvare sembra essere l’arte stessa.
Luciano Gabbrielli (Viareggio, 1924) in seguito alla laurea in medicina, conseguita all’Università di Pisa, ha lavorato alcuni anni come medico di bordo sulla nave che seguiva la rotta Genova-Melbourne. Successivamente, dopo essersi specializzato negli Stati Uniti alla Columbia University, ha prestato servizio presso il Presbiteryan Hospital di New York. Tornato in Italia, ha lavorato come anestesista all’Ospedale Maggiore di Milano ed al San Giacomo di Roma. Si è dedicato a lungo allo studio dell’agopuntura, dell’omeopatia e dell’ayuverdica. Scoperto come artista dal grande critico Emilio Villa, ha esordito nel mondo dell’arte nel 1975 con una mostra presso la Galleria della Trinità a Roma. Ha esposto le sue opere nel 1978 presso gli spazi della Galleria Pagani di Milano e, successivamente, in altre importanti occasioni.
In parallelo all’attività come medico, si è dedicato, oltre che all’arte, alla scrittura di testi tra cui ricordiamo quelli autobiografici come Pappà (2010) e Se lo vedo te lo dico. Sul filo della memoria di Luciano Gabbrielli (2011), entrambi curati da Gabriella Nocentini.
Luciano Gabbrielli vive a Firenze.