Nell’ambito delle manifestazioni promosse dal Comune di Roma – Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione -, in occasione della ricorrenza del ventesimo anno della caduta del Muro di Berlino, il Centro Luigi Di Sarro presenta la mostra fotografica collettiva “Siamo stati a Berlino”, a cura di Claudio Cortellessa, in cui sette autori – Claudio Bellero (direttore della fotografia), Stefano Carofei (fotogiornalista), Erik Chevalier (pittore e fotografo), Claudio Cortellessa (fotogiornalista, regista, docente di fotografia), Claudio Farinelli (giornalista e tv-reporter), Fabio Fiorani (fotogiornalista), AntonelloNusca (fotogiornalista) – propongono un percorso fotografico di storia e di impressioni nel trascorrere del tempo, ognuno accompagnato dalle proprie esperienze e specificità professionali offrendo una visione dalle molteplici chiavi di lettura.
Un percorso anche tecnologico quindi, che Fabio Fiorani inizia mostrandoci l’ultima manifestazione per il Quarantennale della DDR, che prosegue nella “diretta” di Antonello Nusca, a ridosso del Muro il fatidico 9 novembre del1989. Poi i percorsi quasi paralleli ma attratti da “segnali” diversi di Stefano Carofei e Claudio Cortellessa, arrivati dopo il ”fatto”, alla ricerca di tracce e di vita… Seguono nel tempo gli sviluppi: Claudio Bellero, che sorprende il cambiamento e l’evoluzione della quotidianità, e Claudio Farinelli affascinato dalle forme e suggestioni che la riunita e rinata Berlino offre a chi la guarda. Erik Chevalier e il suo casuale incontro con l’artista Jannis Kounellis, ci porta infine ad alcune simboliche riflessioni su l’inarrestabile sviluppo delle città e dell’omogeneizzazione che questo, sembra, inevitabilmente comporti.
Le immagini, realizzate dal 1988 al 2006, mostrano alcuni elementi propriamente storici e molte indicazioni, suggestioni sulla mutazione, lo sviluppo, e i cambiamenti nella vita di questa città tornata unita e nel cuore di tutti gli europei, per le sue caratteristiche di vitalità e accoglienza.
“Siamo stati a Berlino…” Nota del curatore
Nel 1961 avevo sette anni e non ascoltai evidentemente la radio di Berlino Est che annunciava, con una dichiarazione dal testo contorto, la chiusura dei settori e il blocco di Berlino Ovest. Ricordo invece, come lo può ricordare un bambino che cresce – in immagini un po’ sfocate della memoria e sgranate in quel bianco e nero della tv di allora e dei rotocalchi dell’epoca – riprese rubate di quella città lontana in ricostruzione: fanghiglia un po’ ovunque, un muro che separava una stessa città, “certi” Vopos che inseguivano, sparavano e a volte uccidevano persone che cercavano – in fotogrammi disperanti – di saltare quel muro… Alcuni forse erano film… lo scambio delle spie, inseguimenti in vicoli bui, raffiche di mitra e il check-point Charlie che salvava, nel solito “arrivano i nostri”, i buoni americani di turno. Era passato tanto tempo e tanta storia da allora, quando il 9 novembre del 1989, in un periodo di grande fermento nella vecchia URSS, da cui giungevano scricchiolii e smottamenti, così, quasi a sorpresa, quel muro in una notte cominciò a venir giù. Prima fu un buco, ma in poche ore in quel monumento alla separazione e alla incomprensione si aprirono varchi sempre più ampi da cui transitarono – nei due sensi – folle festanti il cui sorriso e le lacrime di gioia e di dolore – perché certe sofferenze sono sempre nella tua mente e nei tuoi occhi – fecero sognare a tutti un mondo migliore: senza muri, senza confini, siano di cemento, di carta, o peggio nei pensieri. Non ci furono dubbi su cosa avrei voluto vedere al più presto, se non immergermi, fosse anche solo per poche ore, in quella città che, nel bene e nel male, tanta importanza aveva avuto nelle vicende umane politiche economiche ma anche intellettuali ed artistiche della nostra Europa. Il desiderio di cogliere, nel varcare quella maestosa porta – la Brandenburger Tor – divenuta simbolo di separazione, qualche segno della vita, delle persone – uomini, donne e bambini – delle case, del lavoro che mi permettesse, annusando l’aria di quel cielo così vasto, di capire forse qualcosa di come potesse essere stata la vita in quella Berlino per quasi trent’anni separata da se stessa.
Vent’anni fa la fotografia era ancora quella tradizionale analogica, la pellicola restituiva le uniche preziose matrici da cui ricavare positivi. Il digitale avrebbe atteso ancora per abbattere il “muro” dell’emulsione nata a fine Ottocento e tuttora efficiente, garantita e insuperata. Allora lo sguardo attento dei fotografi valutava con attenzione ogni inquadratura, cogliendo in un attimo l’equilibrio delle forme ed i contenuti, il corretto rapporto fra tempo d’esposizione e diaframma, la messa a fuoco, per ottenere proprio quel risultato immaginato solo nella mente… Poi, per l’invio alle redazioni, telefoto o il famoso “fuori sacco”. Non erano tempi di view finder, autofocus selettivi, esposizione a zone computerizzate, potenti memory card, lap-top, modem e wireless, né di post-produzioni e photoshop… Il risultato era nel bene o nel male sostanzialmente unico per quanto lo possa essere una fotografia. Con il digitale si è aperta una nuova epoca della riproduzione e/o narrazione della realtà: un’infinita gamma di rappresentazioni offerte all’osservatore, a cui sempre più è richiesta una capacità d’interpretazione e decodifica delle immagini che si mostrano ai suoi occhi. (Claudio Cortellessa)
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