STEFANO IRACI – PAREIDOLIA

a cura di Tanja Lelgemann

24 novembre – 17 dicembre 2016 (dal martedì al sabato ore 16.00 – 19.00)

inaugurazione: giovedì 24 novembre 2016 ore 18 (catalogo in galleria)

 

 

 

La pareidolia per le neuroscienze costituisce un riflesso ancestrale dell’uomo, basato sull’istinto e necessità di riconoscere nella maniera più rapida possibile, quasi a livello inconscio, volti o forme dal significato familiare in oggetti o profili dalla forma casuale.
Il linguaggio pittorico di Stefano Iraci che attinge a suggestioni multiculturali primordiali e ipermoderne, fatto di segni neri su campiture di colore suggerisce, un po’ come nei test di Rorschach, la presenza di figure e storie in continua trasformazione perché la pittura, così come la musica, lascia libera l’immaginazione di viaggiare tra infinite e sempre nuove interpretazioni. Pertanto le sue opere si pongono alla mente dell’osservatore come delle tavole di riflessione, di meditazione, dove, una volta liberati dalla necessità di decifrazione semantica, ci si può abbandonare al vuoto ideativo della contemplazione cromatica.

Stefano Iraci ritrae la consapevolezza contemporanea dei grandi cambiamenti ambientali e sociali senza paura o pruderie. E’ nato nel 1959 a Roma, dove vive e lavora.
Iraci ha un forte background in scienze umane e formazione artistica. Il corpo umano è uno dei suoi soggetti preferiti, approfondito frequentando corsi di anatomia e laureandosi in medicina, prima di ottenere un dottorato in biologia degli epiteli.
Dal 1998 espone le sue opere in diverse città europee presso gallerie private ( Galleria Abraco/Lisbona, Galleria Frank Pages/Baden Baden ), pubbliche istituzioni ( I. I. C. Bruxelles, Palazzo Berlaymont C.E. di Bruxelles, MACRO Roma, MAXXI Roma, Auditorium Parco della Musica Roma …) e collezioni private.

OGGETTI astrazioni, utensili, sistemi, disegni

Claudio Cintoli – Luigi Di Sarro – Ettore Innocente

a cura di Carlotta Sylos Calò

20 ottobre – 18 novembre 2016

Tra gli anni Sessanta e Settanta l’operazione estetica si ‘apre’ fino a coinvolgere lo spazio, l’ambiente e il tessuto di storia e relazioni in cui nasce, rompendo i confini del visuale e diventando esperienza. La mostra Oggetti a cura di Carlotta Sylos Calò attraverso l’esposizione di opere di Claudio Cintoli (1935-1978), Luigi Di Sarro (1941-1979), Ettore Innocente (1934-1987), assimilabili a astrazioni, utensili, sistemi e disegni, offre una lettura del vasto tema dell’oggetto (come matrice, modello o schema) nella dimensione operativa-immaginativa degli anni Settanta italiani, caratterizzata da una tendenza al progettare che mescola utopia e pratica.

 

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Claudio Cintoli, Cucchiai del firmamento, 1968; Luigi Di Sarro, Senza titolo, 1969; Ettore Innocente, Dove gira l’infinito, 1976

La mostra è prodotta dal Centro Di Sarro nell’ambito del Convegno internazionale Arte Fuori dall’Arte. Incontri e scambi fra arti visive e società a cura di Cristina Casero, Elena di Raddo, Francesca Gallo, 12-13 ottobre 2016 Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore.

Gli Atti del Convegno, che documenteranno anche gli eventi a latere, saranno pubblicati nel 2017.

Arte fuori dall’arte
Incontri e scambi fra arti visive e società negli anni Settanta

Convegno a cura di
Cristina Casero (Università degli Studi di Parma)
Elena Di Raddo (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)
Francesca Gallo (Sapienza Università di Roma)

12 – 13 ottobre 2016
Università Cattolica del Sacro Cuore
Largo Gemelli 1, Milano

Promosso dalle Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Università degli Studi di Parma e Sapienza Università di Roma, con la collaborazione dell’Associazione ArtCityLab, il convegno fa il punto su uno degli aspetti più interessanti e meno indagati dell’arte degli anni Settanta: il suo rapporto con la società, attraverso una trentina di relazioni scientifiche, raccolte nelle sessioni Politica, Collettivi, Territorio e Comunicazione e due tavole rotonde con gli artisti dedicate a Interventi nella città e lavoro di gruppo e Media e società.

Quel decennio rappresenta per l’Italia una fase di riflusso economico coincidente con le trasformazioni tipiche del postfordismo, con una conseguente stagione di lotte politiche e sindacali che incrociano la strategia della tensione in diverse occasioni. Il ribollire di energie intellettuali segna la diffusione delle Neoavanguardie, pratiche artistiche eterodosse, in cui il corpo, il video, la parola, la musica si mescolano alle arti visive tradizionalmente intese, per dialogare e competere con il linguaggio della comunicazione di massa e, in tal modo, avviare un rinnovamento non solo linguistico, ma anche di statuto dell’arte. Uno dei dati più evidenti di questa stagione, infatti, è la ricerca di nuovi spazi e nuove forme di rapporto con il pubblico, le istituzioni, il contesto sociale e urbano.

In un clima di profonda riflessione sullo statuto dell’arte e, soprattutto, del significato del fare arte in rapporto alla società – di cui la Biennale di Venezia del 1976 è uno degli esiti più eclatanti – molti artisti abbandonano il sistema dell’arte per trasformarsi in animatori sociali o in operatori estetici (come il celebre Gruppo Salerno 75), ibridando le proprie competenze con quelle più spiccatamente politiche. Altri rivolgono uno sguardo “estetico” ai problemi del momento: inquinamento e tutela della salute, tempo libero e tempo di lavoro, modelli alternativi di istruzione e di socialità, organizzazione urbana, emancipazione femminile e così via. Lungo queste strade la figura dell’artista in molti casi si mimetizza dentro i collettivi politici e non o nell’associazionismo di base.

Intervengono:
Ginevra Addis, Luigi Allegri, Luca Avanzini, Angelo Bianchi, Federica Boragina, Luciano Caramel, Sara Catenacci, Fernando De Filippi, Elena Drovandini, Fernanda Fedi, Matteo Fochessati, Laura Iamurri, Caterina Iaquinta, Emilio Isgrò, Ugo La Pietra, Katharina Jesberger, Jennifer Malvezzi, Chiara Mari, Gianluca Marinelli, Vittoria Martini, Paola Mattioli, Paola Nicolin, Anna Oberto, Luca Palermo, Raffaella Perna, Lidia Piccioni, Cesare Pietroiusti, Ernest Pignon-Ernest, Alessandra Pioselli, Francesco Poli, Marco Rizzi, Giovanni Rubino, Marco Scotini, Marta Seravalli, Gianni Emilio Simonetti, Carla Subrizi, Carlotta Sylos Calò, Stefano Taccone, Francesco Tedeschi, Bianca Trevisan, Christian Uva, Desdemona Ventroni, Claudio Zambianchi, Anna Zinelli.

In occasione del convegno Arte fuori dall’arte. Incontri e scambi fra arti visive e società spazi istituzionali e gallerie private presentano mostre e seminari dedicati a quel decennio. Il calendario delle iniziative cerca di restituire in piccola parte la vitalità della scena artistica di allora, mettendo a fuoco alcune questioni all’epoca di attualità.

Per il mese di ottobre l’associazione culturale ArtCityLab organizza a Milano il Festival ArtsOutsideArts, in occasione del quale, tra gli altri, saranno riproposti, dislocati per la città, alcuni lavori storici di Fernando De Filippi, Ugo La Pietra e Grazia Varisco.

A Santa Maria Capua Vetere, la Seconda Università di Napoli promuove il seminario Arte in movimento. Gli anni Settanta in Campania (25 e 28 ottobre), a cura di Luca Palermo, dedicato al dibattito artistico in Campania durante gli anni Settanta; mentre dal 30 settembre al 29 ottobre lo CSAC dell’Università di Parma propone, da differenti prospettive, letture di opere in collezione evidenziando il confronto delle arti visive con gli altri campi di ricerca, tipico del decennio.

Tra le varie iniziative, numerose mostre:
La parola agli artisti. Arte e impegno a Milano negli anni Settanta, a cura di Cristina Casero e Elena Di Raddo, allestita al Museo d’Arte Contemporanea di Lissone (25 settembre – 25 novembre) con opere che ricostruiscono il vivace clima di ricerca della stagione dell’arte più vicina al sociale;

Claudio Cintoli – Luigi Di Sarro – Ettore Innocente. Oggetti: astrazioni, utensili, sistemi, disegni, a cura di Carlotta Sylos Calò, a Roma, presso il Centro Luigi Di Sarro (20 ottobre-18 novembre) rende evidente la tensione utopica, visionaria e ironica che caratterizza la progettazione di oggetti, non più solo utensili, ma anche astrazioni, ambienti o sistemi;

alla Fondazione Menna (Roma-Salerno), il 25 ottobre si apre la mostra documentaria (a cura di Maria Giovanna Mancini) Filiberto Menna. La linea analitica dell’arte moderna, 1975. Archeologia di un discorso critico, redendo accessibili documenti, corrispondenze e immagini che attestano il febbrile lavoro condotto già a partire dalla fine degli anni ’60 da Filiberto Menna intorno all’idea della linea analitica. In tale contesto si presenta anche il volume Filiberto Menna: cronache dagli anni Settanta. Arte e critica 1970-1980 (a cura di Antonello Tolve e Stefania Zuliani, Quodlibet 2016) che raccoglie gli scritti di Menna sulla stampa quotidiana;

il 6 dicembre inaugura presso lo Spazio Undergrownd di Milano l’esposizione fotografica di Giovanna Dal Magro Milano e gli anni Settanta. Le piazze (a cura di Elisabetta Longari).

Per contatti e informazioni: annisettanta@unicatt.it

L’illusione di Dedalo – Mary Cinque

la pittura come reinvenzione dello spazio, che perde la sua definizione newtoniana per assurgere a pensiero

a cura di Massimo Bignardi 

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22 settembre – 15 ottobre 2016

inaugurazione: giovedì 22 settembre 2016 ore 18

Mary Cinque è nata nel 1979 a Napoli, dove vive e lavora. Espone in questa sua prima personale romana un ciclo di dipinti su tela di medie e grandi dimensioni.

“Non si può, scriveva Merleau-Ponty, «fare un inventario limitativo del visibile» ed è questo l’assunto che spinge la pittura, sia essa figurativa o astratta, a celebrare l’enigma della «visibilità». Per Mary Cinque, la pittura trova nella città un ideale complice al suo destino di celebrare l’enigma della visibilità. È quanto registra questo ciclo di dipinti dedicati a scorci urbani, tema ricorrente nel suo lavoro, nei quali ella ripropone sulla piana dimensione della tela, del foglio, della tavola, sia la dimensione dello spazio, sia quella più complessa del luogo. In sostanza l’artista strappa a Dedalo, mitologico custode delle arti dell’architettura e della scultura, l’illusoria certezza dello spazio per affidarla alla atemporalità dell’immagine. Lo fa riducendo i volumi a piane geometrie di colori piatti nelle quale l’architettura, la città intera  perde la sua definizione newtoniana per assurgere ad amalgama di tempo quindi di memoria e di futuro. La pittura diviene in tal senso un luogo altro del reale, carico di una valenza narrativa che è di chi prova a raccontare l’essere nel proprio tempo.” (Massimo Bignardi)        

 Evento organizzato in occasione della Giornata del Contemporaneo promossa da AMACI

           

 

 

 

Eva Macali – FACCIONI

a cura di Roberto Gramiccia

inaugurazione: giovedì 16 giugno 2016 ore 18

(fino al 9 luglio 2016)

 

FACCIONI sono le immagini delle donne rese oggetto dalla pubblicità. La mostra che Eva Macali propone ribalta la relazione gerarchica tra chi guarda e chi è guardato. “Uno dei miei obiettivi – dice l’artista – è che le donne che rappresento possano ricevere la loro soggettività indietro. (…) La mia sperimentazione interviene tra i codici della pittura moderna, della fotografia e dei mezzi di comunicazione di massa; è in generale connessa al tema più ampio dell’iconografia”. Scrive Roberto Gramiccia nel testo I Faccioni, gli sguardi, la domanda che accompagna la mostra: “I FACCIONI di Eva Macali sono nella tradizione, ma anche fuori della tradizione (…). Realizzati da quella che potremmo definire una energica gazzella del post-pop, e che è anti-pop com’è naturale per un’artista che ha a che vedere con una cultura mediterranea. Una cultura che da millenni, piuttosto che dare risposte, preferisce farsi domande. Le stesse che nascono dalle traiettorie degli sguardi dei FACCIONI che oggi si incrociano al Centro Di Sarro. In ogni sguardo c’è una domanda. E in quella domanda è riposto il senso più profondo della vita”.

 

 

 

COLONIAL GHOSTS – Zwelethu Machepha

 

COLONIAL GHOSTS – ZWELETHU MACHEPHA

a cura di EMMA VANDERMERWE

La mostra Colonial Ghosts raduna i differenti mezzi  espressivi  del giovane artista sudafricano Zwelethu Machepha. Attraverso disegno, pittura e incisione Machepha cattura – sia nel figurativo che nell’astratto – le storie e i linguaggi del mondo che lo circonda. Un codice espressivo “pixelato” e ridefinito attraverso patterns che è simultaneamente una denuncia del mondo digitalizzato con il quale ci confrontiamo ogni giorno, ma è anche una puntigliosa ricerca dei colori e degli stili che potrebbero assimilarsi alla sua cultura ereditaria originale.

Un forte dialogo e contrasto si crea fra le recentissime piccole figure dai contorni sottili, in bianco fluorescente, e le grandi figure a più pannelli della serie Colonial Ghosts che popolano la sala centrale, una sorta di piazza virtuale e digitale dove entrando ci si mescola ad una umanità sconosciuta. E tutto questo spiega bene il processo di sperimentazione dell’artista: originariamente basato su interpretazioni letterali dei suoi soggetti umani – e l’essenza di questa umanità traspare dalle opere esposte – ma poiché l’artista guarda oltre i riferimenti visivi, quei soggetti vengono ridotti alla loro essenza astratta. Rispondendo quindi alla vitalità degli spazi urbani con i quali Machepha è entrato in contatto, nuove figure sono apparse nella sua piazza virtuale, ciascuna con una propria e diversa identità e sono proprio queste nuove presenze che si percepiscono muovendosi da un ambiente all’altro: presenze umane che tendono a perdere gradualmente la loro forma riconoscibile. Machepha spiega che la sua è una ricerca di identità in un ambiente sempre più globalizzato che accelera così tanto da farci perdere le radici e la conoscenza di noi stessi. Un’esperienza di frantumazione identitaria che il pubblico proverà direttamente di fronte alle figure che rimangono riconoscibili da lontano ma si dissolvono e si scompongono in linee e patterns non appena si cerca di avvicinarle.

Al termine della residenza a Roma Machepha ha deciso di includere nella mostra due nuove grafiche, nate dal confronto avuto con Alessandro Fornaci alla Stamperia del Tevere. Qui, è l’emotività ad aver preso il sopravvento. La forma figurativa si è definitivamente dissolta, non c’è più nulla di letterale nell’umanità che l’Artista ritrae, ma tutto si racconta attraverso la moltitudine dei segni. Un paesaggio ridefinito appunto in patterns che hanno le stesse radici millenarie dell’antica Roma. (Emma Vandermerwe – Everard Read Gallery, Cape Town)

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MOSTRE: Nature- Mădălin Ciucă – Nicola Rossini- 4 – 26 maggio 2016, inaugurazione mercoledì 4 maggio 2016 ore 18

Il Centro Luigi Di Sarro presenta la mostra Nature a cura di Paola Ballesi.

Nature vede protagonisti i due artisti Mădălin Ciucă – Nicola Rossini, l’uno rumeno, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Cluj-Napoca, si è specializzato in Italia presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata, l’altro, bresciano di nascita, si è diplomato all’Accademia di Firenze, dove attualmente vive e prosegue gli studi per conseguire il diploma specialistico di scultura, ma ha già all’attivo importanti riconoscimenti.

La pittura di Mădălin Ciucă, da sempre concentrato sul tema del ritratto, cavalca le superfici, moltiplica le luci e le ombre attraverso lo spettro delle tonalità percettive con cui inquadra e contemporaneamente disgrega tanto il profilo di un volto quanto quello di una montagna.

Nicola Rossini impronta la sua ricerca di una particolare venatura scientifica soprattutto rivolta allo studio dei materiali, ferro, marmo, pietra, terre e alle loro sottili interferenze ed inferenze. Fin dai primi lavori porta avanti una investigazione puntuale sui processi di ossidazione mettendone in luce i risultati dal punto di vista formale apprezzando anche le più microscopiche varianze cromatiche e tonali che registra come rapporti di forze che si contendono la materia.

I due artisti sono vicini nell’approccio al percorso di ricerca che hanno intrapreso, caratterizzato da una forte matrice etica che permea la loro pratica artistica quotidiana sfidando le lusinghe che vengono dai facilitatori che vorrebbero l’arte ridotta a spot, a evento mediatico, a pura trovata. Entrambi infatti hanno maturato la consapevolezza che l’arte è continua difficile conquista e spesa di sé perché l’artista ogni volta si rimette in gioco per ricominciare daccapo, coniugando tecnica e invenzione in un’avventura impervia e senza fine.

MOSTRE: Nature- Mădălin Ciucă - Nicola Rossini- 4 - 26 maggio 2016, inaugurazione mercoledì 4 maggio 2016 ore 18
Nature- Mădălin Ciucă – Nicola Rossini- 4 – 26 maggio 2016

 

MOSTRE – UNO DUE TRE – PASSI DIVINI – Salvatore Anelli – Franco Flaccavento – Tarcisio Pingitore

a cura di Luigi Paolo Finizio

11 marzo – 1 aprile 2016

inaugurazione: venerdì 11 marzo – ore 18.00

Catalogo in galleria

Il Centro Luigi Di Sarro e Vertigoarte di Cosenza, presentano UNO DUE TRE PASSI DIVINI di Salvatore Anelli, Franco Flaccavento e Tarcisio Pingitore. L’esposizione, a cura di Luigi Paolo Finizio, verrà inaugurata venerdì 11 marzo 2016 alle 18.00 all’interno degli spazi espositivi della Galleria Centro Luigi Di Sarro, Via Paolo Emilio 28, Roma.

I testi critici presenti all’interno del catalogo (Rubbettino Arte Contemporanea) sono di Luigi Paolo Finizio e di Ghislain Mayaud.

UNO DUE TRE PASSI DIVINI testimonia la possibilità di un’interessante interazione di letture, processi artistici e cognitivi, linguaggi e segnali capaci di spingere ad una profonda riflessione. A proposito delle opere presenti in mostra e del progetto espositivo, Luigi Paolo Finizio scrive: “Un trialogo appunto tra opere e materiali espressivi, tra fantasie e suggestioni immaginative, insomma, tra distinte vicende creative”.

La collettiva, che si propone di rendere visibile un percorso incentrato su confronti originali e su possibili aperture tra diversi processi artistici, costituisce un momento importante di incontro tra poetiche che entrano in comunicazione generando un’azione collettiva capace di muovere pulsioni e forti sentimenti vitali. Le opere, differenti per materiali, concezione, sistemi semantici e metodologia formale, riescono a dialogare con efficacia tra di loro confrontando in tal modo i propri assetti ed esprimendo al tempo stesso – pur nella propria specificità – le inquietudini e i molteplici aspetti della complessa realtà esistenziale del nostro tempo. Ad accomunare Anelli, Flaccavento e Pingitore, così come suggerisce Finizio, l’esistenza meridionale, il suggestivo territorio cosentino ed un solidale spirito culturale di arte e di vita.

 

MOSTRE – Mojmir U. Ježek SFERICA opere in due e tre dimensioni – 12-30 aprile 2016

 

A cura di Roberto Gramiccia si inaugura  martedì 12 aprile 2016 ore 18 al Centro Luigi Di Sarro la mostra Mojmir Ježek “Sferica”,  opere in due e tre dimensioni in cartone, polistirolo, gommapiuma e rame battuto. Durante una visita alla galleria Di Sarro c’è stato l’incontro emozionante con il grembo femminile in maglia metallica realizzato da Luigi Di Sarro tanti anni prima. L’affinità rivelata è stata il motivo fondante di questa mostra.Ježek, contemporaneamente ai suoi cuori sul Venerdì di Repubblica, ha lavorato per anni alla ricerca sul corpo femminile, rintracciandovi le strutture geometriche, la trigonometria sferica che ne regola le forme.Ma tutto ha inizio, tanti anni fa, da una foto della pancia incinta della madre del suo unico figlio.

Eng. Version

At the Centro Luigi Di Sarro, April 12 -30th, Mojmir Ježek will exhibit his work, entitled “Sferica”… Two and three dimensional creations in copper, cardboard, foam rubber and polystyrene. During a recent visit to the Di Sarro Gallery the artist was emotionally struck by the metallic female womb in mesh metal done by Luigi Di Sarro many years ago. This revealed affinity is the motivating force of this exhibition. Ježek, along with his well known hearts published weekly in “Venerdì” magazine “la Repubblica”, has been working for years on the female form, tracing all its geometric structures… the spherical trigonometry that regulates the form of it.The origin of all this, many years ago, was a photograph of the pregnant belly of the mother of his only son.

 

Mojmir U. Ježek SFERICA "Opere in due e tre dimensioni"
Mojmir U. Ježek
SFERICA “Opere in due e tre dimensioni”

 

PARTI / Paradigmi di itinerari creativi Francesca Ferraiuolo, Domenico Mendicino, Antonella Rocca a cura di Tonino Sicoli

PARTI / Paradigmi di itinerari creativi
Francesca Ferraiuolo, Domenico Mendicino, Antonella Rocca
a cura di Tonino Sicoli

 

12 febbraio – 4 marzo 2016

inaugurazione: venerdì 12 febbraio 2016, ore 18

 

 

Si inaugura il 12 febbraio 2016 presso il Centro Di Sarro di Roma la mostra  “PARTI / Paradigmi di itinerari creativi. Francesca Ferraiuolo, Domenico Mendicino, Antonella Rocca” curata da Tonino Sicoli. La mostra,  visitabile fino al 4 marzo, è organizzata in collaborazione con il MAON, Museo d’arte dell’Otto e Novecento di Rende (Cosenza).

 

PARTI è una mostra che vuole mostrare alcuni aspetti del percorso creativo di tre artisti, in un dialogo intergenerazionale, un intreccio azzardato e provocatorio di esperienze diverse, con una ricerca artistica figlia certamente di una cultura visiva post-pop ovvero composta da una imagerie tecnologica, mediatica, consumistica ma che, tuttavia, sa mantenere vivo il senso dello stupore e della meraviglia. L’omologazione delle immagini fotografiche, digitali, pubblicitarie e dell’oggettistica d’uso viene evitata e messa in discussione da un processo di metabolizzazione e di approccio critico alla cultura visiva contemporanea, assunta come un linguaggio possibile ma non come un modello concettuale o uno stereotipo di valori da comunicare. Francesca Ferraiuolo, Domenico Mendicino e Antonella Rocca fanno rispettivamente uso della digitalizzazione, della fotografia e dell’assemblaggio oggettuale per una gestazione di opere a prima vista “normali” ma che si rivelano subito di un visionarismo particolare, in una specie di parto fantastico e irreale, in cui la realtà fa da spunto ad una creazione immaginifica, che si spinge in una dimensione evocativa e portatrice di suggestioni

( Estratto dal testo in catalogo di T. Sicoli )

English Version

PARTI is an exhibition that wants to show some of the creative aspects of three different artists through an intergenerational dialogue, a provocative and risky interweaving of different experiences. The artists came from a post-pop artistic visual culture composed of a technological consumerist media imagery, who still, however, can keep alive a sense of wonder and amazement.

The homogenisation of the images  such as photos, digital, advertising and everyday objects is avoided and questioned by a process of metabolism and critical approach to contemporary visual culture. This culture is taken as a possible language but not as a conceptual model or a stereotype of values ​​to communicate.

Francesca Ferraiuolo, Domenico Mendicino and Antonella Rocca, respectively, use digitization, photography and object assembly for the development of works that we could define at first glance as “normal” but they are, instead, full of a particular vision, in a kind of fantastic and unreal birth, in which reality represents the first step of a imaginative creation pushing towards an evocative dimension full of suggestions.

(T.Sicoli from the catalogue’s text)

 

Vorrei… che tu potessi sentire la felicità di questo mondo. Silvia Galgani – Qinggang Xiang

Vorrei… che tu potessi sentire la felicità di questo mondo
Silvia Galgani – Qinggang Xiang

a cura di
Vittoria Biasi

inaugurazione: giovedì 14 gennaio ore 18
14 gennaio – 5 febbraio 2016 (dal martedì al sabato ore 16-19)
Il pensiero del giovane poeta cinese Hi zi introduce l’incontro espositivo tra gli approdi pittorici del bianco di Silvia Galgani e il bianco delle ceramiche di Qinggang Xiang. Come in una visione o in una musica sintonizzata su note estreme, gli artisti accordano il loro fare lungo una sottile linea, un’apparizione da leggere,

Affidando alle superfici le loro mitologie, gli artisti esplorano i differenti linguaggi per attraversare la condizione antica e perenne dell’uomo, dal suo apparire, dalla scoperta del suono, dal graffiare le pareti, lasciando impronte bianche, fino alla strutturazione, alla consapevolezza dell’essere con gli altri, anche nel senso storico.

Nella storia bianca di questo nostro secolo, il niveo colore ha superato la presunzione del dialogo solitario: ha intrapreso il percorso della ricerca dell’altro, riconoscendolo nella luce, nel movimento, nel visibile, che è lo scudo dell’invisibile. L’icona privilegiata di Silvia Galgani è lo scudo. Nella sua circolarità l’artista racchiude la trascrizione del suo dialogo profondo con il passato, con opere di ogni periodo e di ogni dimensione, per la sua lunga esperienza di restauro. E forse la traccia di quei cromatismi è nelle velature dei suoi Scudi, che approdano alle lamine d’oro o d’argento e alla pastosità del bianco, disposto nella geometria circolare, come luogo di attrazione, convergenza.

Qinggang Xiang consegna i versi di poeti cinesi alla pagina in ceramica, che avvolta su se stessa assume la forma di una campana. Il tocco delle bacchette sui cartigli produce risonanze differenti, di terra: cenni del tempo, del senso, del passaggio dalla parola alla musica, dal corpo al suo immateriale. Le opere consentono diversi modi di apparire della scrittura, che conquista la distanza dalla pagina, dalla forma enunciativa, fino a divenire simbolo nello spazio. Le sculture hanno una doppia valenza: possono essere lette per la narrazione poetica anche della quotidianità o possono essere ascoltate nella sonorità senza narrazione. Il tocco della bacchetta nella cultura cinese è il suono estremo, senza parola o colore, che introduce il comando.